Prime considerazioni sull’Inventario dei gas serra per il periodo 1990-2018 e sul Rapporto ISPRA 2020, anno di riferimento 2018, relativo alle emissioni di sostanze inquinanti in agricoltura

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Lo scorso 21 aprile 2020 l’ISPRA (Sistema nazionale Per la Protezione dell’Ambiente) ha presentato due rapporti relativi all’aggiornamento dei dati riguardante lo stato di emissione si sostanze inquinanti nel nostro Paese nel periodo 1990-2018.
I due rapporti presentati sono:
In relazione alla presentazione da parte di ISPRA dei dati sulle emissioni di seguito alcune prime considerazioni.
Per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, il settore agricolo emette il 94,2% delle emissioni nazionali totali di ammoniaca (NH3) ed il 29,2% delle emissioni nazionali totali di Esaclorobenzene (HCB), mentre incide in misura molto più contenuta sui seguenti altri inquinanti:
  • 13,0% delle emissioni nazionali totali di PM10;
  • 7,7% delle emissioni totali nazionali di BC (black carbon);
  • 7,6% delle emissioni nazionali totali di NOX;
  • 5,8% delle emissioni nazionali totali NMVOC;
  • 3,7% delle emissioni totali nazionali di PM2,5;
  • 2,2% delle emissioni totali nazionali di Cd.
Per quanto riguarda l’ammoniaca, dal 1990 sono stati conseguiti buoni risultati: al 2018 si riscontra una diminuzione del 23,4% dovuta alla diffusione di buone pratiche ambientali ed alla contemporanea riduzione del numero di animali.
Il maggior quantitativo di emissioni nazionali di ammoniaca deriva dalla gestione del letame (59,7% al 2018 e 59,5% nel 1990), con il letame bovino che rappresenta il 63,2% delle emissioni (suini e pollame rappresentano rispettivamente il 15,2% e il 13,7%).
Le fertilizzazioni dei suoli agricoli rappresentano il 40,1% delle emissioni totali nazionali di ammoniaca (40,4% nel 1990). Il letame animale applicato ai suoli e l’uso di fertilizzanti azotati di sintesi rappresentano rispettivamente il 51,6% e il 36,4%.
Ne risulta che l’83% delle emissioni di ammoniaca deriva dagli allevamenti.
Per quanto riguarda i gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto, ecc.), si evidenzia che le emissioni nazionali totali, espresse in CO2 equivalente, sono diminuite nel 2018, del 17,2% rispetto all’anno 1990, passando da 516 a 428 milioni tonnellate di CO2 eq. L’agricoltura ha fornito il suo contributo con una riduzione del 13% delle proprie emissioni complessive rispetto al 1990.
Il settore agricolo, al 2018, contribuisce per il 7,1% sul totale delle emissioni nazionali di gas serra mentre il settore energetico per l’80,5% (trasporti 24,5%, industria energetica 24,0%, residenziale e servizi 19,5%, industria manifatturiera 12,6%), i processi industriali per l’8,1% ed il settore rifiuti per il 4,3%.
Le fonti principali di emissione di gas serra del settore agricolo inventariate (CH4, 63,8%, e N2O, 34,8%) sono: fermentazione enterica 47%, suoli agricoli 27,6%, gestione del letame 18,8%, coltivazione del riso 5,1%.
Gli allevamenti contribuiscono al 79% delle emissioni di gas serra del settore agricolo, con la seguente suddivisione:
vacche da latte 36,9%, altri bovini 31,8%, suini 12%, ovini 8,5%, bufalini 4,5%, avicoli 3,3%, equini 1,5%, caprini 0,9%, conigli 0,6%.
Le emissioni di metano rappresentano il 10,1% del totale nazionale dei gas serra e derivano per il 43,5% dal settore agricolo che comunque mette in evidenza una riduzione delle proprie emissioni pari al 9,8% rispetto al 1990, attribuita ad una riduzione del bestiame e al recupero del biogas a fini energetici.
Il protossido di azoto (N2O), che rappresenta il 4,1% del totale nazionale dei gas serra nel 2018 (17,7 Mt in CO2 eq.), deriva dall’agricoltura per il 59,4% (fertilizzanti chimici ed organici, effluenti, compost, fanghi di depurazione, digestati, ecc.). Anche qui va sottolineata, comunque, la riduzione delle emissioni di N2O del settore agricolo del 18,5% rispetto al 1990, collegata soprattutto alla diminuzione del numero di capi.
Dal quadro sopra descritto si può affermare che prosegue il trend di riduzione delle emissioni di gas serra ed inquinanti provenienti dal settore agricolo e che sussistono ancora margini di miglioramento legati alla gestione degli allevamenti e della fertilizzazione, soprattutto attraverso l’adozione di alcune innovazioni in diversi ambiti (alimentazione bestiame, trattamento reflui, agricoltura di precisione, ecc.).
D’altra parte occorre prendere atto che il settore agricolo non potrà mai azzerare le proprie emissioni in quanto sono correlate allo stesso svolgimento di alcune attività, a partire dagli allevamenti.
Su questo aspetto è quanto mai necessario raggiungere un livello di equilibrio tra obiettivi da raggiungere a livello ambientale e la garanzia di una adeguata produzione di cibo e della tutela delle attività economiche, ed una volta raggiunto quel livello considerare le emissioni del settore agricolo come base accettabile.
A ciò occorre aggiungere che a partire dal 2021 nell’inventario delle emissioni verranno considerati anche gli assorbimenti netti di gas serra dall’uso del suolo, oltre che dalle foreste (del settore LULUCF saranno infatti misurati assorbimenti ed emissioni).
È una questione che va riproposta con forza visto che da una parte l’agricoltura ha una base non riducibile di emissioni, dall’altra, insieme alle foreste, è l’unico settore che può assorbire CO2 in modo naturale.
Per cui prima di accusare l’agricoltura di emettere occorrerà sempre bilanciare le emissioni con gli assorbimenti per valutare effettivamente il ruolo del settore, quantomeno per quanto riguarda i gas climaleteranti.
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